Diba 70 diventa azienda agricola in Honduras 

L’attenzione non si concentra esclusivamente sul prodotto finito ma sull’intera catena di produzione, dal seme alla tazzina, dal coltivatore al barista, mettendo al centro di ogni azione la sostenibilità

Qual è il caffè a cui tutti siamo abituati a casa, al bar o al ristorante? A volte ci soddisfa, spesso ci lascia letteralmente “l’amaro in bocca”. Lo beviamo troppo velocemente, in qualsiasi momento della giornata, per il suo contenuto di caffeina, per una pausa in ufficio, per incontrare una persona.

Ma della bevanda caffè conosciamo troppo poco.

Ci limitiamo alla marca del prodotto, al nome della torrefazione, al logo o al testimonial. Sappiamo che può essere decaffeinato o macchiato, lungo, ristretto ma niente ci rimanda alla sua origine vegetale, al suo gusto, alla sua preparazione. Ormai sappiamo tutto del vino, del tè, persino dell’acqua. E il caffè?

È arrivato il momento di fare un passo indietro, cominciando col porsi delle domande: “Cosa c’è dentro una tazzina di espresso? Esiste solo un tipo di caffè? Da dove proviene? Chi lo coltiva? Come si produce? Il caffè ha sempre lo stesso sapore? Quanti metodi oltre la moka?”. 

Dobbiamo ripartire dalle origini per essere finalmente consapevoli del suo valore.

Dal chicco alla tazzina, il caffè percorre una lunga filiera fatta di 2.000 mani diverse ed è giunto il momento di raccontare la sua storia.

Il caffè viene coltivato nella cosiddetta coffee belt, la fascia tropicale del pianeta, ed ha tra i suoi principali produttori Brasile, Vietnam, Colombia, Indonesia, Honduras ed Etiopia. Il suo consumo è globale: Europa, Stati Uniti, Brasile, Giappone. Le specie di caffè finora classificate sono 90 anche se ne vengono coltivate solo 25. Si dividono principalmente tra Arabica, Canephora (da cui deriva la varietà Robusta) e altre sottospecie. 

L’Arabica nasce a oltre 600 metri sul livello del mare e rappresenta il 70% della produzione mondiale. È suscettibile alle malattie e necessita di maggiori cure. I suoi chicchi sono più grandi della varietà Robusta (44 cromosomi).

La Canephora nasce invece a livello del mare e rappresenta il 30% della produzione mondiale. È resistente alle malattie ed ha un contenuto più elevato di caffeina. I chicchi sono più piccoli (22 cromosomi).

Il caffè è un albero con foglie verdi e fiori piccoli e bianchi, profumati, simili al gelsomino. 

I suoi frutti sono ciliegie rosse (a maturazione) che vengono generalmente raccolte tra gennaio e marzo, oppure tra ottobre e dicembre, e poi lavorate.

Della ciliegia si utilizza il seme (contrariamente a tutti gli altri frutti) e si butta via la polpa che può essere utilizzata come fertilizzante naturale.

Per ottenere il seme, dopo la raccolta meccanica o manuale (da cui ovviamente dipende molto del livello di selezione e qualità del prodotto finale) si passa attraverso vari processi di lavorazione:

Processo Lavato – Dopo la separazione di polpa e chicco il caffè viene lasciato nelle vasche a fermentare e successivamente viene lavato ed essiccato al sole o con macchine asciugatrici.

Il risultato nella tazza? Acidità elevata, corpo leggero, tazza pulita, aromi di agrumi e fiori.

Processo Naturale – Il chicco intero viene lasciato a essiccare al sole o utilizzando macchine asciugatrici e successivamente decorticato.

Il risultato in tazza? Bassa acidità, corpo elevato, tazza dolce, aromi molto fruttati.

Processo Honey – Il chicco viene spolpato e messo ad essiccare. Il risultato in tazza? Acidità bilanciata, corpo medio, tazza molto dolce, aromi di bakery leggermente fruttati.

La selezione dei chicchi avviene attraverso un processo meccanico o manuale per eliminare quelli difettosi (muffiti, bacati, secchi, immaturi, rotti e con altri difetti).

Il caffè viene poi schedato in base al processo e alla qualità fin lì rilevata: specie botanica, processo di lavorazione, anno di raccolta, altitudine, grandezza del chicco, colore.

Cupping –E adesso? Non è possibile valutare e consumare un caffè verde. L’infuso aromaticamente somiglia a una tisana di paglia.

L’unico modo per apprezzare il caffè è tostarlo e assaggiarlo in varie preparazioni, quando sarà in grado di sprigionare tutti gli aromi che lo caratterizzano.

Esiste quindi un aroma di caffè? A comporlo per la maggior parte sono le componenti chimiche derivanti dalla cottura e dalla tostatura, ma non basta. 

Degustando un caffè, così come con un vino, si possono distinguere note molto diverse (positive o negative): nocciola, caramello, fiori, frutta, ma anche bruciato, cartone, gomma, verde. 

Come ogni prodotto agricolo, del caffè esistono annate migliori e peggiori, qualità eccellenti e scadenti, lavorazioni in grado di valorizzarlo o rovinarlo. Il caffè è per la maggior parte di qualità commerciale o intermedia, va quindi selezionato accuratamente e processato in maniera corretta.

Una volta selezionato come materia prima, il caffè arriva nel paese di trasformazione dove sarà tostato, miscelato e confezionato per arrivare finalmente alla nostra tazzina.

Il lavoro del torrefattore è quindi solo una parte della lunga filiera del caffè.

Per ottenere un prodotto di qualità è necessario conoscere la materia prima in tutte le sue declinazioni, dalla selezione verde all’estrazione in filtro o espresso, fino alle cialde e alle capsule, senza dimenticare la presentazione della bevanda al cliente. 

Per questo e altri motivi siamo diventati azienda agricola di caffè, acquistando insieme ad altri soci una piantagione di caffè in Honduras.

Siamo diventati agricoltori a fianco dei contadini locali, soci anch’essi della cooperativa che gestisce la piantagione. Abbiamo costruito insieme un nuovo percorso di qualità, dando valore a tutte le scelte agricole quotidiane.

La nostra attenzione non si concentra esclusivamente sul prodotto finito ma sull’intera catena di produzione, dal seme alla tazzina, dal coltivatore al barista, mettendo al centro di ogni azione la sostenibilità: dando valore al lavoro, curando l’ambiente, creando prodotti di alta qualità.

Il nostro è un caffè socialmente responsabile.

Bere caffè rappresenta per noi un atto agricolo. Rimettiamo al centro il prodotto e il suo valore.

di Leonardo Maggiori, direttore consulenza e formazione HoReCa Diba 70 (foto di copertina)

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